Arte e cultura

Lavorazione del Giunco

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Non si sa quando gli Acquaricesi abbiano scoperto il giunco e iniziato a lavorarlo. La prime notizie documentate ci sono fornite da G. Arditi, nel 1879. L'autore scrive che le donne acquaricesi, oltre che collaborare con gli uomini ai lavori agricoli, si dedicano anche "all'industria speciale di tessere sporte, cestini e fiscelle di giunco (iuncus et fusus), che chiamano volgarmente Pileddu".

Il giunco palustre, raccolto nelle paludi dell'Avetrana e in quelle di Ugento e Acaja, opportunamente trattato, veniva lavorato per ottenere "quelle utili e svariate fatture, alcune delle quali meritarono di stare all'Esposizione mondiale di Vienna nel 1873".
Cosimo De Giorgi nel 1882 conferma la notizia dell'esposizione dei cestini acquaricesi a Vienna dove, aggiunge l'autore, "meritarono un premio". Successivamente i cestini furono esposti alla Mostra Nazionale di Torino, in seguito alla quale si ebbero numerose commissioni. La mancanza nel paese di un opificio organizzato non consentì tuttavia un'adeguata risposta.

 
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Una Casa londinese, che aveva ammirato i cestini nell'esposizione di Vienna, manifestò il suo interesse inviando un suo rappresentante in Acquarica. Questi, "raggruppando quelle poche lavoratrici del giunco in un solo centro, giunse a far rifiorire questa industria del panieraio. E i prodotti furono spediti in Inghilterra ed in Germania, e per tutto furono accolti con favore, anche per la tenuità del loro prezzo". Sul finire dell'800 l'industria decadde; continuò tuttavia la lavorazione del giunco a conduzione familiare.
I cestini prodotti dalle spurtare (cestinaie) di Acquarica erano molto usati nella vita quotidiana della civiltà contadina del tempo ed erano venduti nei mercati paesani di tutto il Basso Salento da piccoli commercianti del luogo. Periodicamente arrivavano in paese anche rivenditori delle province di Bari e di Brindisi per ritirare i cestini ordinati.

 

I commercianti più attivi di Acquarica, molti di loro conosciuti con il loro soprannome, erano:

  • Donadeo Diletta (1878- 1949)
  • Zonno Salvatore (1863- ?) e il figlio Eugenio (1894- 1965);
  • Alfarano Vincenzo, lu Battaja, (1896- 1960);
  • Trani Rocco (1898- 1960);
  • Palese Vito (1901- 1981);
  • Palese Rocco, Roccu Cilusu, (1902- 1976);
  • Minonni Carmelo (1904- ?);
  • Cara Carolina, la Nina Pazzuta, (1904- 1990);
  • Cagnazzo Cosimo, lu Cosimeddu, (1905- 1966);
  • Luca Luigi, lu Moru, (1907- 1973);
  • Alfarano Quintino (1907- 1986);
  • Simone Carlo (1911- 2000);
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Spesso, per le precarie condizioni i vita della maggior parte della popolazione e la limitata circolazione del denaro, i cestini venivano barattati con prodotti alimentari (legumi, formaggio, farina, olio, vino, taralli,…). Nella prima metà del '900, il commercio dei cestini cominciò a rifiorire. A partire dal 1926 nacqero e si svilupparono piccoli opifici per iniziativa di alcuni imprenditori, come Vito Palese ed Eugenio Zonno col figlio Salvatore. Questi chiamavano a lavorare, presso le proprie abitazioni, le cestinaie, in gruppi di 15- 20. La giornata lavorativa iniziava alle 7 del mattino e terminava la sera. Quando si dovevano preparare spedizioni urgenti, si lavorava anche la notte per terminare i cestini e apporre le etichette sui prodotti da imballare. Questi venivano spediti oltre i confini salentini (Bari, Rimini, Riccione, Milano, Firenze) e all'estero (Inghilterra, Svizzera e perfino in America).
Gli stessi imprenditori, durante l'estate, si recavano personalmente a Rimini e a Riccione per vendere lungo le spiagge borse e cestini vari, paglie e scarpe.

Alcuni cestini venivano spediti all'isola d'Elba presso l'Istituto di pena dove i carcerati li usavano per portarsi il pranzo quando andavano a lavorare fuori dalle carceri. I lavori più belli, esposti presso le fiere nazionali e internazionali, ottennero vari riconoscimenti e venivano richiesti, su ordinazione, da commercianti del Nord Italia.
(notizie tratte dal testo curato dall'Istituto Comprensivo Statale di Acquarica del Capo: ACQUARICA DEL CAPO, Percorsi nel territorio e nella memoria, 2001, pagg. 190-192)

 

Estrazione dei tufi nelle cave

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Chi si trova a passare dalla strada che congiunge Acquarica del Capo a Taurisano si trova di fronte ad uno scenario unico, quasi "lunare". Un'immagine che incuriosisce da sempre i turisti, attratti da un paesaggio unico più che raro, costituito da ciò che è rimasto dallo scavo effettuato nel tempo da chi ha prodotto la materia prima usata per le costruzioni di decine di paesi, i conci di tufo.

 

Negli anni '60 erano attive 10 cave dei seguenti proprietari:

  1. Brigante Enrico
  2. Brigante Giovanni
  3. Palese Eugenio
  4. Palese Vito
  5. Scarcia Luigi
  6. Scarcia Rocco
  7. Pennetta Giovanni
  8. Stasi Giuseppe
  9. Stasi Filiberto da Taurisano
  10. Pedaci Antonio.

Vi lavoravano circa 200 operai a carattere annuale provenienti dai paesi confinanti e con una produzione annua, al 1961, di circa 25.000 mc. di materiale da costruzione.
La zona interessata, che abbraccia un'estensione di circa 300 ettari di superficie, rappresenta oggi un patrimonio ambientale, storico e culturale.


Di recente è stata oggetto di attenzione da parte di un artista tedesco Jurgen Witte, che ha inserito il complesso delle cave nel progetto IN ITENERE - Percorsi d'arte nel Salento dalla civiltà della pietra all'arte multimediale.
L'artista ha trasportato nelle cave una sua opera, una barca lunga 13 metri denominata “Hotel Italia 2003”. L'opera, allude allo sforzo straordinario che gli immigrati hanno compiuto e tuttora compiono per raggiungere la loro meta.

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